8 marzo 2012
Commentare negativamente l’abitudine della maggior parte delle donne di festeggiare l’8 marzo in giro per locali è fin troppo facile per me. L’8 marzo ha un valore socio-politico importante, oserei dire civile, e non va alterato, in alcun modo. Più che una festa, è, fin dall’istituzione, un momento di riflessione, di bilanci. E il bilancio è senz’altro negativo.
Negativo perché sono troppe le donne violentate, nel fisico e nell’anima. Sono troppe le donne che odiano le donne. Sono troppe le donne che temono di ascoltarsi. Certo, questi ragionamenti lasciano il tempo che trovano: la situazione non è ovunque la stessa. In Italia non si vive come in Francia o in Norvegia, e in Italia non si vive come in Afghanistan. Perciò preferisco scrivere quello che so, quello che vivo ogni giorno sulla mia pelle.
Penso alle donne che di sera puntano la sveglia prima di addormentarsi, distrutte. A quelle che, tornando a casa, dopo una giornata di lavoro, rassettano la casa e accudiscono i bambini. A quelle che, invece, lavorano a casa, a quelle che fanno un mestiere duro, a quelle che non hanno bisogno di scoprire le tette per fare carriera.
Penso alle mie coetanee alle prese con contratti e contrattini senza ferie, senza malattia e, ahimè, senza maternità. Penso a quelle che firmano le dimissioni in bianco prima dell’assunzione. Penso a quelle che inseguono i propri sogni, a quelle che ci rinunciano per non ferire i veri amori della loro vita. A quelle che se ne fregano e partono, a quelle che costi quel che costi vado a vivere da sola. Penso a quelle che, seppure senza garanzie lavorative, un figlio lo fanno lo stesso. A quelle che l’anno scorso, a febbraio, sono scese in piazza per rivendicare almeno un briciolo di dignità.
Già, la dignità. È a quella che sto pensando mentre riempio il foglio di parole, per giunta fuori orario.
Perciò, io oggi celebro la dignità, affinché illumini la strada delle donne ed insegni a certi uomini che i limiti esistono, eccome.