Se nascere donna è una condanna

Pubblicato il da marinabisogno

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Gli spartani lanciavano i neonati deformi da una rupe. Una pratica barbara, vessillo di una cultura fondata sulla'esaltazione della forza e della perfezione.

Oggi, in India, ( e non solo là) sono le bambine in quanto tali ad avere la peggio. Nascere donna equivale ad una condanna, un problema che la maggior parte delle famiglie risolve con l’aborto selettivo.

 

Eppure, l’India è anche il paese dove molte donne hanno raggiunto posizioni sociali di rilievo: a fianco di Pratibha Patil, attuale presidente del Paese, e di Sonia Maino Gandhi, leader del principale partito politico, moltissime sono impegnate nelle aziende, nella politica e nella società.

 

Come mai, allora, c’è chi ricorre all’aborto selettivo? La pratica, invero, interessa le caste più povere ed è il frutto di una cultura patriarcale allignata da secoli. “Water” di Deepa Mehta scatta una fotografia amara ma che non si può fare a meno di guardare. Il film racconta la storia di Chuya, una ragazzina di otto anni, già promessa sposa di uno sconosciuto, e subito vedova. Dopo la morte dell’uomo, viene allontanata dalla famiglia e rinchiusa in un ashram, luogo di ritrovo per vedove indù. Le tagliano i capelli, la costringono all’isolamento, alla tristezza: una morte annunciata e terribile, da consumare in vita e da sopportare come una croce.

 

Donna uguale condanna, pena infinita, sopportazione.

Secondo le disposizioni del Codice di Manu, il più importante e antico testo sacro della tradizione scritta  indù, le donne indiane appartengono prima al padre e poi al marito. Se lo sposo muore, la malcapitata ha solo tre possibilità: immolarsi sulla pira durante la cerimonia di cremazione, vivere di stenti, o sposare, con l’approvazione della famiglia del defunto, il fratello di questo.

 

Un destino crudele, a cui molte si sottraggono col suicidio. Il film è ambientato nel 1938 e lascia intendere il superamento della truce usanza con l’affermazione del pensiero di Gandhi, il primo a criticarla con fervore.

 

Ma nel finale la regista avverte che in alcune zone dell’India le vedove sono ancora realtà. Nel 2000, infatti, una folla di centinaia di fanatici ha sabotato il set di "Water" minacciando di morte la regista e due delle sue attrici. Le riprese sono state interrotte. Il film ha visto la fine cinque anni dopo, in segreto, nello Sri Lanka.

Nonostante i movimenti femministi degli anni Ottanta e la ratifica nel 1993 della Convenzione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, Amnesty International denuncia discriminazioni ancora persistenti

 

I templi e gli ashram sono tuttora stracolmi di vedove, che, cacciate dalla famiglia del marito defunto e respinte da quella natale, si guadagnano un piatto di riso in cambio di giornate spese a recitare mantra in suffragio o a elemosinare.

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