Benedetta Palmieri, i Funeracconti e la bella scrittura

Pubblicato il da marinabisogno

funeracconti.jpgBenedetta Palmieri è una scrittrice in gamba. Qualche mese fa ho recensito il suo “I funeracconti” (Feltrinelli editore).  Del libro, al di là di certe scenette ironiche, spesso made in Naples, mi colpì subito la scrittura. “Caspita, scrive bene la ragazza” pensai tra una pagina e l’altra. Dopo la recensione io e Benedetta ci siamo scritte: il risultato è questa piccola intervista, perché la scrittura, atto intimo e sacro, si alimenta anche di scambi.

 

Hai avuto la fortuna di pubblicare con un colosso dell’editoria nostrana. Per la serie: la bella scrittura paga ancora, che ne pensi?

È un argomento delicato e pieno di sfumature. Io credo (e spero) che paghi la bella scrittura, che paghino le idee e la dedizione; ma direi che paga anche la fortuna (e, tra l'altro, non trovo ci sia niente di male in questo). Paga pure avere l’opportunità giusta al momento giusto, insomma. Per quanto riguarda me, spero davvero la mia sia una “bella scrittura” e sono felice che abbia trovato la propria occasione. Per occasione intendo sia il tema sia gli incontri. Il primo perché mi è caro, mi ha appassionato e coinvolto, perché mi si è aperto davanti dandomi la possibilità di provare la mia scrittura su di lui. I secondi perché mi hanno indirizzato, condiviso, contraddetto, sostenuto, pungolato, rassicurato (e anche pubblicato).

 

Ho letto che per te scrivere è quasi vitale, che per anni ti sei ostinata a coltivare questa passione, tanto da far preoccupare i tuoi. È vero?

Forse non l’ho detto proprio con questo pathos, ma è in un certo senso è vero. Però la preoccupazione non era per la passione in sé, per il tempo che le dedicavo o l’ostinazione che potevo metterci. Credo li preoccupasse che mi ostinassi a pensare che quella dovesse essere la mia strada; questo mi faceva impegnare meno in altro (intendo anche lavorativamente parlando) – cosa non proprio rassicurante per un genitore.

 

Napoli: città di cultura, a volte provincialissima, altre internazionale senza eguali. Come ti influenza vivere in un posto tanto sfaccettato?
Napoli. Napoli è un bel casino. Ti fa tribolare – forse un po’ come quando ti innamori della persona sbagliata. Ti sbatte in faccia la sua bellezza mozzafiato, e addosso il suo carattere complicato; ti procura spasimi d’amore e poi una rabbia impotente – cose tutte che potrebbero ucciderti. Si prende un sacco, ma quando meno te lo aspetti in un attimo ti restituisce tutto. E poi è densa. Non so dire esattamente come mi influenzi, forse proprio tenendomi l’anima mai paga, mai “assestata” – e dunque ricettiva. A ogni modo, di certo influenza me e la mia scrittura. A volte mi sfianca, ma io sono felice di esserci nata e di viverci.

 

Ho l’impressione che tu viva la scrittura come atto intimo, solitario, quasi refrattario, sbaglio?

No, non sbagli affatto. Considero la scrittura un atto molto intimo, e di solito non mi piace granché neppure parlarne: non mi piace raccontare quello che provo scrivendo né cosa sto scrivendo. Non che non mi confronti o confidi mai, ma lo faccio raramente e sempre a piccole dosi. È una forma di pudore in primo luogo; poi di insicurezza: non mi piace ad esempio far leggere quello che scrivo in corso d’opera, o comunque finché non sono sicura che funzioni almeno qualcosa di quel progetto; e infine forse c’è anche un po’ di becera e infantile gelosia verso i miei sentimenti e ciò che sto producendo.
 
Bezos, il fondatore di Amazon ha dichiarato che, secondo lui, chi sa scrivere non potrà mai essere disoccupato. Che ne pensi?
Onestamente, non ne ho la più pallida idea. Ma non mi convince tanto: mi sembra una di quelle dichiarazioni a effetto che mal si prestano a dimostrare la loro giustezza sul campo. Io non le amo molto; e soprattutto, non so crederci.

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